La via misteriosa che guarisce tutte le malattie

Chi si avvicina allo yoga e alla meditazione lo fa spesso con l’urgenza di trovare una soluzione a un problema di salute. Ferite del corpo e dell’anima spingono alla ricerca in territori culturali dove abita l’”altro”, perciò diviene necessario comprendere quali sono i fondamenti della cura e della guarigione presso le diverse culture. Secondo i testi sapienziali della tradizione indiana legata alla pratica dello yoga e della meditazione, la guarigione sta nel divenire consapevoli di come uno stato si possa trasformare in un altro stato: la buona salute in malattia e la malattia in buona salute. E si dovrebbe poter transitare da uno stato all’altro, a piacere. Ovviamente la prima - e talvolta sola - opzione sarà quella di realizzare lo stato di salute da uno stato di malattia , ma i maestri talvolta mostrano il percorso inverso per sottolineare come la condizione della mente possa causare la malattia. I testi tradizionali non dicono in quale modo operare la trasformazione verso la guarigione. Indicano una realizzazione trascendente che è oltre ogni possibile descrizione. Le upaniṣad ci lasciano a mezza via. La Taittirya upaniṣad, ad esempio, dopo aver descritto il funzionamento dei cinque corpi sottili che compongono la personalità umana e la relazione fra questi cinque corpi, non descrive alcun percorso pratico che consenta di poter affermare, secondo le parole del testo, “io sono uno splendente tesoro, saggio inondato di immortalità”. Giunti all’ultimo versetto, non si può che concordare con l’aggettivo impiegato per descrivere l’intera esposizione: “Tale è la dottrina arcana”.

Il presupposto di questi sistemi filosofici è il medesimo e sta in una non soluzione condensata nella formula (magica?) Tat Tvam Asi, Tu sei Quello. Si tratta di una non risposta, in effetti cosa significa Quello? E come posso divenire Quello? Il punto di svolta di questa ricerca sta nell’incuriosirsi del processo che ha condotto da uno stato all’altro e di come - risalendo da trasformazione a trasformazione nel corso del tempo e riassorbendo il tempo - si possa tornare al punto zero della non-nascita, poiché solo così viene consentito di accedere ai territori di Quello. Un simile concetto accompagna il ricercatore che si avventuri entro questi sistemi fino a realizzare che eravamo già qualcosa prima di essere nati. E allora come possiamo tornare a essere ciò che eravamo già, come possiamo scoprire - secondo il koan dello zen - il volto che avevamo prima di nascere? Quel volto assomiglia al riflesso della mia sembianza fisica che colgo nello specchio del tempo? Oppure si è operato un cambiamento, un cambiamento di stato? Ecco la curiosità che dovrebbe nascere: quel cambiamento di stato in che modo ha determinato ciò che io rappresento nello spazio-tempo, come forma densa nel mondo delle forme dense?

“I testi tradizionali non dicono in quale modo operare la trasformazione verso la guarigione. Indicano una realizzazione trascendente che è oltre ogni possibile descrizione.”

Ragionando in questi termini ho ricordato come un mantra, presente in una scrittura intitolata Lo Splendore della Dea, alludesse a qualcosa senza svelarne l’essenza. E ci lasciasse così a metà strada, come fanno le upaniṣad quando le interroghiamo su questioni di salute e cura. Quel mantra dice che la dea a un certo punto della storia lì narrata proferisce alcune parole che non vengono riportate. Quel che dice la dea il mantra non lo rivela. Eppure sottolinea il sorriso che accompagna le parole.

Ecco forse la traccia che la sapienza consegna al nostro acume affinché la si segua mantenendosi entro la scia di luce: l’incuriosirsi risolutivo verso quel sorriso. Ecco allora la possibile soluzione: andare incontro alla vita come fosse una meravigliosa, ironica, avventura. Divenire talmente curiosi della vita come di uno straordinario e divertente pellegrinaggio lungo la foresta dell’esistenza e della densità delle forme. E quando ci avventuriamo, quando decidiamo di metterci in cammino nello spirito dell’avventura, allora sappiamo che unica compagna di viaggio, lo sappiamo per certezza, sarà l’incertezza. Ma un’incertezza munita di sorriso, accompagnata da una possibilità di levità e pace. Un’incertezza che può svelare meravigliose e sorridenti realizzazioni e fungere da stimolo a superare ogni difficoltà, divenendo curiosi della possibilità: che persino la malattia e il termine della vita materiale possano essere accolti con benevolenza e trasformarsi in soluzione finale. In guarigione finale.

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